prorett

Nuovo modello di sindrome di Rett per accelerare gli studi e la ricerca preclinica

Negli ultimi anni, i topi privi del gene Mecp2 – o con mutazioni dello stesso gene identiche a quelle che si riscontrano normalmente nei pazienti – sono stati fondamentali per lo studio della sindrome di Rett e la comprensione del ruolo della proteina MeCP2. Di questi topi senza gene funzionante ne sono stati generati diversi tipi (i cosiddetti “modelli murini” della malattia), tutti con sintomi che ricalcano quelli della sindrome di Rett negli esseri umani.

Il ceppo più utilizzato è probabilmente quello sviluppato dal professor Adrian Bird, chiamato in gergo tecnico C57BL/6 Mecp2tm1.1Bird. Si tratta, tuttavia, di un animale molto difficile da allevare e da mantenere, non solo per i gravi sintomi causati dalla mancanza del gene Mecp2 (difetti nella respirazione, disturbi nell’apprendimento,  crisi epilettiche,  ipotonia muscolare, cifosi ed osteopenia), ma anche perché il ceppo murino di partenza utilizzato per ottenere questo animale transgenico  ha, per sua natura genetica, cucciolate poco numerose e madri non particolarmente dedite alla cura dei piccoli. Col risultato che i ricercatori incontrano grandi difficoltà nell’ottenere in poco tempo un numero di animali sufficiente (cioè statisticamente significativo) per comprendere le cause della malattia o per testare possibili approcci terapeutici.
Ma i pazienti affetti da sindrome di Rett hanno fretta.
Lo scorso anno, tuttavia, i ricercatori del San Raffaele Rett Research Center studiando – grazie al contributo di proRETT ricerca – il ruolo della proteina MeCP2 negli embrioni, si sono resi conto che questo tipo di studi era possibile solo avvalendosi di un diverso modello murino. Hanno cioè trasferito il gene mutato non negli animali sviluppati dal professor Bird, bensì in un ceppo di topi simile ma geneticamente diverso, naturalmente più forte, che dà più piccoli e ha ottime madri.
Visto gli enormi vantaggi che questo topo avrebbe potuto rappresentare per la comunità scientifica (anche dal punto di vista della riduzione degli animali da esperimento), il gruppo coordinato da Nicoletta Landsberger e Charlotte Kilstrup-Nielsen – sempre grazie al supporto di proRETT – ha approfondito gli studi, dimostrando quanto l’animale utilizzato sia un modello valido ed efficace per la ricerca sulla sindrome di Rett. Come hanno scritto sulla rivista PLOS ONE, il nuovo ceppo (chiamato CD1), risulta infatti molto più facile da allevare e mantenere, più prolifico e resistente, e allo stesso tempo mostra i medesimi sintomi dei primi modelli così difficili da utilizzare.
“Crediamo che questo nuovo modello murino rappresenti una grossa possibilità per future ricerche, soprattutto per gli studi preclinici che necessitano di un grande numero di animali”, ha commentato Nicoletta Landsberger. Dello stesso avviso si sono mostrati altri ricercatori non coinvolti nello studio, ma fortemente impegnati nella ricerca sulla sindrome di Rett, che congratulandosi con i colleghi del San Raffaele Rett Research Center hanno espresso all’unisono pareri positivi:  “E’ una tappa importantissima per la ricerca in questo campo. Disporre di animali finalmente non sarà un problema, e consentirà di risparmiare sia sui costi delle ricerche che sul numero di animali da utilizzare negli studi”.
ProRett ricerca si unisce al coro sperando che il supporto economico fornito possa rilevarsi utile in tutto il mondo per accelerare l’individuazione di una cura.

GRAZIE A PRORETT RICERCA